giovedì 3 febbraio 2011

Morire a 14 anni per punizione... perchè?

Oggi circola una notizia che lascia sbigottiti.
Una ragazza quattordicenne del Bangladesh, Hena Begum, accusata di avere una relazione con un uomo sposato è stata condannata a subire 80 frustate che le hanno provocato la morte. La condanna sarebbe stata inflitta da una corte giudicante formata da anziani e religiosi nel rispetto della Shariah, una legge Islamica. Quattro persone, tra cui un religioso, sono state arrestate ma il distretto di polizia di Shariaptur ha fatto sapere che... stanno ancora cercando ben quattordici persone, tra le quali un insegnante (non si sa di cosa), coinvolte in questo caso. Akm Shahidur Rahman ha dichiarato alla BBC “Hena è stata ricoverata dopo l’incidente. E’ morta sei giorni dopo. Gli anziani del villaggio avevano anche chiesto al padre di pagare una multa di circa 700 taka (circa 700 dollari)”... e la ragazza era anche stata picchiata dai genitori del presunto amante, oltretutto.

Penso sia lecito domandarsi cosa spinga ad atti del genere. Come al solito, come mi piace fare, ho cercato di informarmi in merito a questa legge, che non conosco e che dispone pene corporali così ingenti anche ai bambini. Mi sono messo all'opera ed ho trovato due documenti, uno a firma di Nicola Melis (Docente di Storia e Istituzioni della Turchia contemporanea alla Facoltà di Scienze Politiche, Cagliari) ripreso da "l'Obiettivo" del 14 febbraio 2007, ed uno tratto dal libro "Ideali e realtà dell'Islam" di Seyyed Hossein Nasr, Ed.Rusconi.

Poi mi sono chiesto se questa legge sia applicata in tanti o pochi paesi del mondo ed ho trovato una cartina che li rappresenta
prendendo contatto con una realtà che non conoscevo, che ha una discreta diffusione.

Cosa significa Shariah?
(Arabo: شريعة trascrizione: Šarīʿah) significati più diffusi: "la via da seguire", "Legge divina", “il senso", “il percorso alla fonte d'acqua", "via", "strada".

Penso proprio sia il caso di leggere qualcosa di più... passiamo ai documenti che citavo prima, a partire da quello di Nicola Melis:

Sempre in riferimento alle istituzioni islamiche, tra i vari termini tecnici utilizzati impropriamente dai media (in primis, quelli reazionari o xenofobi e qualunquisti tipo “La Padania”), vi è “shari‘a” (pronuncia all’incirca”sciarìaa”), tradotto in maniera inesatta “Legge coranica”.
Una prima precisazione relativa al concetto di shari‘a è che sta ad indicare due diverse dimensioni, una metafisica ed una pragmatica. Nel significato metafisico, la shari‘a è la Legge di Dio e, in quanto tale, non può essere conosciuta dagli uomini. In questo senso, il fiqh, la scienza giurisprudenziale, rappresenta lo sforzo esercitato per individuare la Legge di Dio, e quindi la letteratura legale prodotta dai giuristi costituisce opera di fiqh, non di shari‘a. Comunque, più genericamente nel linguaggio comune (quello che ai leghisti piace tanto utilizzare nei salotti televisivi) per shari‘a si intende il diritto positivo quale discende dall’operato dei giuristi (faqih, plurale “fuqaha’”).
La tradizionale definizione di shari‘a che spesso è fornita dai manuali e testi sulle istituzioni del mondo musulmano, vale a dire “Legge divina che la comunità dei credenti deve osservare”, appare insoddisfacente se non si precisano due aspetti. Il primo è relativo all’ambito d’azione della shari‘a: essa, infatti, non trova un’esatta corrispondenza con il moderno concetto di diritto poiché diverse norme enunciate non sono applicate dai credenti. L’oggetto di tali norme è piuttosto riconducibile ad una tendenza propria della tradizione giurisprudenziale musulmana quale si è costituita nel corso dei primi secoli dell’era islamica, in cui spesso si discutono questioni teoriche, senza alcuna relazione con la realtà effettiva. Come scriveva ottant’anni fa l’insigne giurista David Santillana (consulente dei diversi governanti arabofoni del dopoguerra per la stesura dei codici civili nazionali), «diritto e religione, legge e morale sono due aspetti di quella stessa volontà per cui è stata fondata e si regge la comunità musulmana; ogni questione di diritto è anche un caso di coscienza, e la giurisprudenza poggia in ultima analisi sulla teologia». Inoltre, molte delle norme della shari‘a riguardano atti personali legati al culto e all’ambito rituale. Disciplinano, cioè, i rapporti tra l’uomo e Dio, non solo le relazioni tra gli uomini. È la classica distinzione tra le due branche della shari‘a, che sono rispettivamente le ‘ibadat (i doveri più propriamente religiosi) e le mu‘amalµt (relazioni tra uomini). Dal punto di vista del moderno diritto occidentale gran parte della shari‘a non presenta i requisiti per cui la si possa definire giuridicamente rilevante. Nello specifico, solo le mu‘amalat rientrano nella categoria delle norme di diritto. La shari‘a potrebbe essere definita come un insieme di norme ideali, parte delle quali hanno anche un riscontro pratico, ma la cui applicazione resta, in definitiva, una pia aspirazione piuttosto che un fine raggiungibile e, secondo alcuni, perfino un vuoto dogma programmatico.
Nella vita dei musulmani la shari‘a, e la materia giuridica che da essa deriva, svolge, pertanto, un ruolo fondamentale. Al punto che, per molti versi, non è errato affermare che l’Islam è una religione legale. Secondo uno dei primi grandi studiosi europei di diritto islamico, Joseph Schacht, «la teologia non è mai riuscita a raggiungere nell’Islµm un’importanza simile [al fiqh]; soltanto il misticismo è stato abbastanza forte da sfidare il predominio della Legge nell’animo dei musulmani, e spesso ne è uscito vittorioso».

Leggiamoci anche quello tratto dal libro di Seyyed Hossein Nasr:

LEGGE DIVINA, NORMA SOCIALE E UMANA

La Shariah, è la legge divina: accettandola si diventa musulmani. Soltanto colui che accetta le ingiunzioni della Shariah, come vincolanti è musulmano, anche se non fosse capace di realizzare nella sua vita tutto ciò che insegna o di seguire tutti i suoi ordini. La Shariah, è il modello ideale per la vita dell'individuo e la legge che unisce le genti musulmane in un'unica comunità. Essa è la materializzazione della volontà divina in termini di insegnamento specifico. Accettare questo insegnamento ed essergli fedele garantisce all'uomo una vita armoniosa in questo mondo e la felicità nell'altro.
La parola Shariah, è essa stessa etimologicamente derivata da una radice che ha il significato di strada. la strada che conduce a Dio. Assume grande rilevanza simbolica il fatto che sia la divina legge sia la via spirituale, Tariqah (quest'ultima, dimensione esoterica dell'Islam), siano fondate sul simbolismo della strada oppure del viaggio. Tutta la vita è un passaggio, un viaggio attraverso questo mondo transitorio per giungere alla divina presenza.
La Shariah, è la strada più ampia, quella destinata a tutti gli uomini, che, per mezzo suo diventano capaci di realizzare tutte le possibilità dello stato umano individuale.
La Tariqah invece è il sentiero stretto, destinato a quei pochi che hanno la capacità e la profonda vocazione di andare verso la santità o che cercano una via il cui fine sia la realizzazione della realtà dell'Uomo Universale che trascende l'ambito individuale.
La Shariah, è legge divina nel senso che impersona la volontà divina alla quale l'uomo deve attenersi, sia nella sua vita personale sia in quella sociale. In ogni religione la volontà divina si manifesta in modi diversi, ma i comandamenti morali e spirituali di ogni religione sono sempre di origine divina. Nell'islam, tuttavia, la manifestazione della volontà divina non consiste soltanto in un insieme di insegnamenti generici, bensì in un complesso di insegnamenti concreti. Non soltanto si ingiunge all'uomo di essere caritatevole, umile e giusto, ma gli si insegna anche come esserlo in tutte le diverse evenienze della vita. La Shariah, contiene i comandamenti della volontà divina applicati a ogni circostanza dell'esistenza. Essa è la legge secondo la quale Dio vuole che vivano i musulmani. Quindi essa è una guida che abbraccia ogni aspetto particolare della vita e dell'agire umani. Accettando di vivere secondo la Shariah, l'uomo pone la propria esistenza nelle mani di Dio. Quindi la Shariah, che non trascura nessun aspetto dell'attività umana, santifica tutta la vita e attribuisce significato religioso anche a quella che potrebbe sembrare la più profana delle attività.
L'incomprensione del vero senso della Shariah, da parte del mondo occidentale è da addebitarsi alla sua natura concreta e onnicomprensiva. Un ebreo che creda nella legge talmudica può capire che cosa voglia dire avere una legge divina, mentre viceversa la maggior parte dei cristiani, e quindi i laici di estrazione cristiana, assimilano con difficoltà tale concezione, proprio perché nel cristianesimo non vi è netta distinzione fra la legge e la via. Nel cristianesimo la volontà divina è espressa in termini di insegnamento universale, come per esempio quello che induce alla carità, ma non in regole concrete.
La diversità fra la concezione della legge divina nell'Islam e nel cristianesimo è già chiara nel modo in cui la parola canone (qanun) è usata nelle due tradizioni in ambedue le tradizioni la parole è stata mutuata dalla Grecia. Nell'islam il termine è venuto a connotare in legge fatta dall'uomo, in contrasto con la Shariah, legge ispirata da Dio. In Occidente si dà un significato opposto a questo vocabolo, nel senso che la legge canonica indica l'insieme delle norme che governano l'organizzazione ecclesiastica, e gli si attribuisce una netta sfumatura religiosa.
Il punto di vista cristiano sulla legge che governa socialmente e politicamente l'uomo è espresso dal celebre detto del Cristo:
Date a Cesare quel che è di Cesare. Questa frase riveste in verità due significati, uno solo dei quali è generalmente preso in considerazione. Essa viene comunemente interpretata come un invito a lasciare alle autorità secolari, di cui Cesare è il modello più cospicuo, tutte le faccende mondane o attinenti alle norme politiche e sociali. Ma oltre a questo, quella frase vuoi dire che, essendo il cristianesimo una via meramente spirituale, esso non possedeva di per sé una legislazione divina delle cose terrene, motivo per cui doveva far sua la legge romana per divenire religione di una civiltà.
La legge di Cesare, o legge romana, fu assorbita provvidenzialmente nella visione cristiana dei mondo, una volta che questa religione prevalse in Occidente, ed è a questo fatto che allude il detto del Cristo. Tuttavia la dicotomia rimame sempre. Nella civiltà cristiana la legge che governa la società umana non ebbe la stessa divina sanzione ricevuta degli insegnamenti del Cristo. E infatti tele mancanza di legislazione divina per le cose mondane, nel cristianesimo, ebbe una parte di non poco conto nella secolarizzazione che si verificò in Occidente durante il Rinascimento. Essa è anche la causa più importante della mancanza di comprensione del significato della Shariah, da parte degli occidentali e di tanti musulmani moderni ormai occidentalizzati.
Rispetto alla legge divina, quindi, le posizioni dell'Islam e del cristianesimo sono completamente diverse. L'Islam non ha mai dato a Cesare quel che era di Cesare. Piuttosto, esso ha tentato di integrare quello che era il dominio di Cesare, cioè la vita politica, sociale ed economica, in una concezione religiosa comprendente il mondo in tutte le sue sfaccettature. Nell'Islam la legge è un aspetto integrante della rivelazione e non un elemento estraneo. Naturalmente, anche la legge romana assumeva una sfumatura religiosa entro le religione romana stessa, tanto che la funzione del "divo Cesare" era quella di stabilire l'ordine sulla terra attraverso questa legge. Ma dal punto di vista del cristianesimo essa era un elemento estraneo privo del potere santificante della rivelazione. Nell'Occidente cristiano è successo così che la legge sia stata, fin dall'inizio, una norma umana da stabilire e da rivedere secondo la necessità e le condizioni del momento. L'atteggiamento occidentale verso la legge è totalmente determinato dal carattere del cristianesimo quale via spirituale che non apportava una sua propria legge rivelata.
La concezione semitica della legge, resa universale nell'ebraismo e nell'Islam, è all'opposto di quella occidentale generalmente prevalente. Si tratta di una concezione eminentemente religiosa, seconda la quale la legge è qualcosa che appartiene integralmente alla religione. Infatti la religione per un musulmano è essenzialmente la legge divina, che comprende non soltanto principi morali universali, ma anche norme particolari su come l'uomo deve amministrare la propria esistenza e agire nei riguardi del prossimo e di Dio; su come l'uomo deve mangiare, generare, dormire; su come deve vendere e comprare sulla pinza del mercato; su come deve pregare e compiere altri atti di culto. Tale legge include ogni aspetto della vita umana, comprendendo nei suoi dogmi anche il modo in cui un musulmano deve vivere la sua vita in armonia con la volontà divina. Essa guida l'uomo verso la compresiaione della volontà divina indicandogli quali azioni e quali oggetti dal punto di vista religioso sono obbligatori (wajib), quali sono meritori o raccommndabili (mandub), quali sono proibiti (haram), quali reprensibili (makruh), e quali indifferenti (mubah).
Attraverso queste valutazione l'uomo perviene a conoscere il valore di tutte le azioni umane dal punto di vista del divino, sicché egli può scegliere tra il "sentiero angusto" e quello che lo guida fuori strada. La Shariah, gli fa conoscere ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. Con il libero arbitrio l'uomo deve scegliere quale strada seguire. Una simile legge è l'archetipo della vita umana ideale, è una legge trascendente che viene applicata alla società umana ma che non è mai pienamente realizzata,a cagione delle imperfezioni inerenti a tutto ciò che è umano. Umana ma che non è mai pienamente realizzata, a cagione delle imperfezioni inerenti a tutto ciò che è umano. La Shariah, corrisponde a una realtà che trascende il tempo e la storia. Per meglio dire, ogni generazione della società musulmana dovrebbe cercare di adeguarsi ai suoi insegnamenti, applicandoli in modo nuovo alla situazione contingente del suo tempo. Il processo creativo che è compito di ogni generazione non ha lo scopo di rifare la legge, bensì di riformare gli uomini e la società umana per adattarli alla legge. Secondo il modo di vedere islamico, la religione non dovrebbe essere riformata per essere adeguata alla natura degli uomini sempre mutevole e imperfetta, ma gli uomini dovrebbero riformarsi in modo da vivere in conformità ai dettami della rivelazione. Secondo quanto corrisponde alla realtà vera delle cose, è l'umano che deve adeguarsi al divino, e non viceversa.

Adesso, contrariamente al solito, vorrei che foste voi a fare commenti ed ha creare una discussione in merito.
Se non avete idea di come cominciare, stampate questo post e fatevi aiutare dal vostro insegnante di religione, creando così una situazione costruttiva, così che davanti alla discussione di questo tema possiate essere preparati e possiate dire la vostra a tutto titolo, coscientemente e con un parere costruito sulla conoscenza e non sul discorso "da bar".

Attendo i vostri pareri. Buono studio.
GAGiuliani

5 commenti:

Anonimo ha detto...

4 assassini, fiancheggiati da 14 complici, hanno ucciso una ragazza di 14 anni per un futile motivo (con l'aggravante della crudeltà visto che le hanno somministrato 80 frustate...).
Per la legge naturale (ovvero la coscienza, quella "vocina" interiore che ti dice ciò che è giusto o sbagliato) e per il nostro ordinamento giuridico (e quello di quasi tutto il mondo) tale atto è punibile con l'ergastolo o con la pena di morte... Mentre per l'Islam il comportamento dei 4 assassini è addirittura via di santità. Loro attribuiscono la colpa alla ragazzina, che molto probabilmente ha subito prima la violenza dell' "amante", poi quella dei genitori dell'"amante", le 80 frustate e la morte... Perché per l'Islam è tutto all'opposto?
Da quanto ho capito dai 2 documenti (con un piccolo aiuto) per l'Islam la legge ordinaria coincide con la legge divina. Ciò ha portato all'identificazione del giusto nella morale, e dello sbagliato nell'immorale, che come conseguenza ha portato a dire che la ragazza ha commesso un peccato, quindi ha commesso un reato e bisogna punirla perché è moralmente riprovevole.
Nella nostra cultura, invece, c'è distinzione tra la morale e il giusto. Per esempio: un uomo con la pistola minaccia la tua famiglia. Tu lo uccidi. Moralmente hai sbagliato, perché la morale dice di non uccidere, ma se tu non l'avessi fatto sarebbero morte più persone, innocenti, quindi il tuo comportamento rientra nel giusto... La morale è una "linea generale" da seguire ma poi si ha la possibilità di capire se ciò che si sta facendo è veramente il bene... E ciò si chiama libero arbitrio, ed è la vera differenza tra cristianesimo e islamismo: nel primo puoi scegliere, nel secondo la strada è unica... La shariah ti dice il modo esatto in cui tu devi vivere, tutto il resto è sbagliato e punibile...

GianAchille Giuliani ha detto...

Ottimo commento. Come al solito evito di dare pareri, ma noto in ogni caso l'estrema attenzione posta nei confronti del tema e la consapevolezza di costruirsi un'opinione.
Anche in questo caso hai centrato lo scopo del post.
Mi auguro che altri seguano il tuo esempio e che la discussione possa essere ancora più produttiva.
Sarebbe ancora più bello se arrivassero commenti da qualcuno che la conosce meglio di noi e che magari la segua come regola di vita.
A presto.

Stefan ha detto...

IMHO- l'islam è diverso in ogni parte del mondo... dipende anche da come ognuno lo percepisce-i talebani-fanatici che aspirano solo al bene politico; uno che lapida la moglie per adulterio senza chiedersi perchè l'ha fatto ha un problema secondo me. Poi ci sono anche quelli come la Regina di Giordania, oppure Khaled Hosseini-il suo libro è geniale- ottimi modelli di vita e fede.E' difficile etichettare l'islam, comunque penso sia una religione poco tollerante -IMHO

GianAchille Giuliani ha detto...

Cito testualmente da wikipedia, per tutti gli utenti che si chiedessero il significato dell'acronimo IMHO usato da Steve nel suo commento:

IMHO (In My Humble Opinion) è un acronimo in lingua inglese dal significato di a mio modesto parere.
Sono in uso anche varianti come IMO (In My Opinion: secondo me), IMAO (In My Arrogant/Awesome Opinion: secondo il mio arrogante/bel parere), IMNSHO (In My Not So Humble Opinion: a mio non così modesto parere) e ancora IMVHO (In My Very Humble Opinion: a mio modestissimo parere) diffuse da quando l'uso IMHO si è inflazionato. Questo acronimo è utilizzato nei messaggi di posta elettronica, nei gruppi di discussione e ogni qualvolta si voglia sintetizzare un messaggio per velocizzare la digitazione e salvare spazio.

Vedo che il post vi dà spunti di riflessione... avanti gente che c'è posto...

Anonimo ha detto...

Concordo... L'islam è una religione diversa a seconda di chi la pratica... Ma secondo me è colpa degli uomini, che spesso ne cambiano il significato ed il culto perché, sotto sotto, c'è un guadagno personale.
Non penso che la vera religione islamica avrebbe detto di comportarsi così su quella ragazza; su di lei come su altre persone coinvolte in altre vicende... Spesso accade che nella traduzione e nell'applicazione dei testi sacri si segua alla lettera ciò che magari è scritto come metafora, o che venga interpretato "male", con il pericolo di non recepire il vero messaggio di ciò che è scritto... Io non penso che un Dio direbbe di eliminare coloro che decidono di non professare la sua religione, e probabilmente non lo fa... E' più facile uccidere "in nome di Dio" (e non mi riferisco solo alla religione islamica, vedasi crociate), ti da una sorta di "giustificazione"... Ma siamo sicuri che sia veramente quello il motivo che spinge allo sterminio?

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